La legge 172-12(1) ha modificato l’articolo 572, codice penale, che recita:
«Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.»
In sostanza, l’articolo 4 della suddetta legge ha aggiunto i conviventi nel gruppo dei soggetti passivi del reato ed ha aumentato le pene.
«In tema di maltrattamenti in famiglia, l’art. 572 c.p., è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, Rv. 261472). Ragione per cui il delitto è configurabile anche quando manchi una stabile convivenza e sussista, con la vittima degli abusi, un rapporto familiare di mero fatto, caratterizzato dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza (Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, Rv. 255628.)»
«Integra tale delitto il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (tra moltissime altre, Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, Rv. 272452). E’ del tutto irrilevante, allora, nell’accertata esistenza di plurimi episodi di prevaricazione, nel corso di una relazione sentimentale protrattasi per otto anni, che la persona offesa – come si afferma in ricorso – avesse una sua vita di relazione autonoma o potesse disporre di risorse economiche: circostanze, entrambe, perfettamente compatibili con un più generale clima di umiliante sopraffazione, che è necessario e sufficiente per configurare il reato.»
«Per costante affermazione di questa Corte di legittimità, la maternità del delitto di maltrattamento in famiglia resta integrata da una serie di atti lesivi dell’integrità fisica o della libertà o del decoro del soggetto passivo nei confronti del quale viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa la stessa convivenza, dovendo poi l’elemento psichico concretizzarsi nella volontà dell’agente di avvilire e sopraffare la vittima unificando i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest’ultima, non rilevando, nella natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (ex multis: Sez. 6, n. 8510 del 26/06/1996, Lombardo, Rv. 205901-01; Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, dep. 2018, D. L. Rv. 272452).»
NOTE
(1) Che ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale del 25 ottobre 2007.